IL RONIN E LA VOLPE
Lunghezza: novella
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Storm Moon Press
Genere: fantasy, storico, paranormale
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Storm Moon Press
Genere: fantasy, storico, paranormale
Nel Giappone feudale, Kaede Hajime vive da ronin vagabondo, un samurai senza un signore. Quando passa la notte in una locanda, il proprietario lo implora di aiutarlo a fermare una pericolosa kitsune, uno spirito volpe, che tormenta il villaggio. Ma, quando cattura lo spirito, che ha la forma di un bellissimo ragazzo, Hajime scopre che anche la kitsune ha dei problemi. La perla che contiene l'anima dello spirito è stata rubata, rendendolo schiavo del suo nuovo padrone, che lo obbliga ad attaccare il villaggio.
Hajime accetta di aiutare la volpe a recuperare il gioiello, ma vivere con uno spirito volpe non è facile, e la fiducia che sta nascendo fra loro è continuamente messa alla prova. Le kitsune sono prima di tutto imbroglione, e Hajime deve capire quanto di ciò che la volpe gli dice sia la verità. A peggiorare le cose, un vecchio compagno di Hajime è in città, portando con sé gli amari ricordi dei suoi giorni da samurai. Hajime deve trovare un modo per recuperare il gioiello prima che il ladro scateni contro di lui i notevoli poteri della kitsune... e cercare di non rimetterci il cuore. |
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ESTRATTO
Capitolo 1“Ci fate un grande onore, samurai-dono. Se foste così gentile da attendere mentre preparo il necessario...”
Hajime Kaede strinse le labbra. Il vecchio si stava tormentando le mani, scoccandogli occhiate ansiose, e Hajime si trattenne a stento dal gemere. Samurai. Quella parola gli strisciò nello stomaco, facendogli quasi venire la nausea. Ma il vecchio continuava a guardarlo, con gli occhi sgranati e colmi d’aspettativa, quindi Hajime torse le labbra in un rigido sorriso e annuì. “Certamente, Tanaka-san. Vi sono grato per il vostro zelo.”
L’uomo si allontanò in tutta fretta, e Hajime rimase solo nell’ingresso della locanda. Era buio e silenzioso, appena illuminato da una piccola lanterna. Voleva appoggiarsi al muro, abbassare la testa e sprofondare nella fresca ombra della sera. Invece, sollevò le spalle e inspirò a fondo, e il suo petto muscoloso si tese sotto la sua armatura di cuoio. I suoi lunghi capelli neri erano annodati e incrostati di polvere dopo cinque notti all’addiaccio. Voleva soltanto togliersi i suoi abiti sporchi e consunti, fare un bagno caldo, mangiare del cibo decente e farsi una buona nottata di sonno su un vero futon. Ma Tanaka-san lo aveva accolto con mani tremanti, balbettando riguardo a un terribile male che aveva colpito il villaggio e implorando l’aiuto di Hajime. Ovviamente, Hajime aveva prontamente acconsentito. Ma se avesse dovuto ascoltare per un altro minuto le lodi entusiaste di quell’uomo per i samurai...
Tanaka tornò di corsa, con un sorriso deferente sul volto, lasciando la porta scorrevole di carta semi-aperta per la fretta. Una lanterna illuminava la stanza alle sue spalle e Hajime scorse la sagoma snella di un uomo—immobile, con la luce che faceva scintillare i suoi occhi in modo quasi innaturale e si rifletteva sui suoi capelli neri. Sembrava sorridere, fissando proprio Hajime con aria sorniona. Appena Hajime sbatté le palpebre, la figura svanì. Scosse lentamente la testa, sforzandosi di riportare l’attenzione su Tanaka. Se stava iniziando ad avere allucinazioni, aveva davvero bisogno di farsi una bella dormita.
“Siamo estremamente lieti di ospitarvi,” disse rispettosamente Tanaka. “Se desiderate, vi accompagnerò immediatamente alla vostra stanza.”
Hajime annuì, mormorando un ringraziamento, e seguì il vecchio lungo gli stretti corridoi della locanda. Il legno scricchiolava con un suono caldo sotto i suoi passi; la sua ombra danzava sui sottili schermi di carta che separavano le stanze. “Tanaka-san... vorreste parlarmi del male che affligge il vostro villaggio?”
“Vi prego, pensate solo a riposare, ora, samurai-dono. La questione può attendere fino a domani. Domani vi mostrerò tutto, vi spiegherò ogni cosa. Spero che non vi dispiaccia trattenervi qui...”
“Non mi dispiace affatto,” disse Hajime. “Resterò tutto il tempo necessario.”
Non che avesse niente di meglio da fare con la sua vita. Ma non lo disse ad alta voce.
---
Il tatami era ruvido sotto i suoi tabi mentre Hajime tornava dal bagno. Si era lavato e risciacquato attentamente prima di immergersi finalmente nell’acqua calda della vasca. Con gli occhi chiusi aveva inspirato lentamente mentre i suoi muscoli contratti si rilassavano, liberando la tensione dei troppi giorni passati senza riposo. Era passata più di una settimana dall’ultima volta in cui si era lavato con acqua calda, e gli sembrava che il freddo del bosco gli fosse penetrato nelle ossa. Il locandiere gli aveva lasciato uno yukata ripiegato e Hajime lo indossò con gratitudine, lieto di liberarsi dei suoi vestiti inzaccherati.
Quando raggiunse la sua stanza, aprì la porta scorrevole e la sua mano si bloccò sullo stipite di legno. Un giovane uomo con indosso uno yukata arancione era inginocchiato al basso tavolo vicino alla finestra, con il mento poggiato a una mano mentre osservava gli alberi all’esterno. Il primo istinto di Hajime fu di gettarsi verso la sua katana, che aveva lasciato vicino alla parete insieme al suo arco e la sua bisaccia, ma qualcosa nell’aspetto dell’intruso lo fermò. Un’atmosfera pacifica permeava la stanza, e Hajime si sentì d’un tratto la testa leggera, come se fosse piacevolmente stordito. Improvvisamente, era più in pace di quanto fosse da anni e, guardando la snella figura dell’intruso, fu certo di non avere alcuna ragione per essere allarmato.
Avrebbe dovuto fargli capire che c’era davvero qualcosa che non andava.
Lo sconosciuto voltò la testa e gli rivolse un dolce sorriso. I suoi lunghi capelli scuri avevano una strana tonalità color ruggine e incorniciavano un viso grazioso, con zigomi alti e labbra piene. Hajime riconobbe lo stesso giovane uomo che aveva incrociato il suo sguardo poco prima, alle spalle di Tanaka.
“Entrate, ve ne prego,” disse il giovane uomo, con voce gentile e invitante, come una musica lontana. “Vi assicuro che non rappresento una minaccia”
Hajime non esitò prima di entrare nella stanza e richiudere la porta. I suoi effetti personali erano dove li aveva lasciati, intoccati. “Non vorrei essere scortese, ma temo che siate nella stanza sbagliata.”
“Oh, sono esattamente dove desidero essere,” replicò il ragazzo, con gli occhi scintillanti di malizia appena trattenuta. Sollevò il fiasco panciuto poggiato sul tavolo e versò del liquido trasparente in una piccola tazza, simile a un piattino. “Ecco. Vi prego di accettare qualcosa da bere.”
Hajime attraversò la stanza e si inginocchiò vicino al tavolo, esaminando il suo visitatore. Le fattezze del ragazzo erano delicate e assolutamente deliziose. Hajime supponeva che avesse poco più di vent’anni. La sua pelle era insolitamente pallida, quasi luminosa alla luce della candela, e Hajime vide che i suoi occhi erano di un color marrone chiaro, con scintillii dorati quando catturavano barlumi di luce. Quando sollevò la mano per offrirgli la tazza, Hajime poté vedere la pelle liscia e morbida del suo polso. Fu attraversato da un brivido mentre l’improvviso desiderio di poggiare le labbra su quella pelle, di sentire le delicate pulsazioni sotto la lingua, gli sbocciava nella mente. Lottò per non abbassare lo sguardo, improvvisamente accaldato.
Accettò la tazza e se la portò alle labbra, bevendo un sorso. Il sake gli fece bruciare la gola e Hajime si aggrappò a quella sensazione, cercando di ancorare i suoi pensieri vorticanti. Gli girava la testa. Che diamine... “Vi ha mandato il locandiere?” Chiese, quasi sorpreso dalla fermezza della sua voce.
Lo sconosciuto sorrise nuovamente in modo misterioso, inclinando la testa da un lato. “Non proprio. Ma spero che la mia visita sia comunque di vostro gradimento. O samurai-dono trova la mia presenza importuna?” Si sporse in avanti e la stoffa della sua manica sfiorò le dita di Hajime, poggiate sul tavolo.
“Certo che no,” replicò all’istante Hajime. Il profumo del ragazzo lo avvolgeva, dolce e inebriante, facendogli ribollire il sangue. Delle immagini gli fluttuavano nella testa, riscaldandogli il corpo come una lenta tortura: il ragazzo, con lo yukata in disordine; le sue lunghe gambe esposte al tocco di Hajime; la sua pallida gola tesa mentre gettava la testa all’indietro, ansimando e gemendo sotto le mani di Hajime...
Hajime non si rese conto di essere balzato in piedi finché non ebbe fatto tre passi indietro, incespicando sul tatami, con il cuore che batteva all’impazzata. La tazza di sake era rotolata a terra e lo sconosciuto lo guardò, sorpreso, con gli occhi sgranati. Qualcosa non quadrava, pensò freneticamente Hajime, con il corpo improvvisamente bollente. Non era da lui perdere il controllo in tal modo. C’era qualcosa nella stanza, qualcosa che proveniva da quel ragazzo che gli annebbiava la mente e rendeva difficile pensare.
“Qualcosa non va, samurai-dono?” Mormorò lo sconosciuto, alzandosi lentamente in piedi e avvicinandosi ad Hajime con movimenti aggraziati. Hajime si passò una mano sul volto. Era umido di sudore. Gli bruciava la fronte.
“Sì. No. Io... sono molto stanco,” balbettò, con lo sguardo fisso sul corpo snello dello sconosciuto, che lo stava osservando con la testa inclinata da un lato. “Grazie per la vostra... gentilezza. Ma forse sarebbe ora che mi... ritirassi. Per la notte.”
“Certamente.” Lo sconosciuto avanzò, premendo lentamente il corpo contro quello di Hajime e passandogli le braccia intorno al collo. “Anch’io sono stanco di parlare.” I suoi capelli avevano un delicato profumo di fiori di ciliegio, dando alla testa ad Hajime. Si rese conto di aver stretto le braccia intorno allo sconosciuto, senza volerlo, con il corpo vibrante di eccitazione confusa. Si sentiva come ubriaco. Non poteva certo essere il sake...
“Smettetela di pensare,” sussurrò il ragazzo. Guardò Hajime in volto con i suoi grandi occhi prima di sporgersi a baciarlo, sfiorandogli le labbra con la lingua.
Hajime chiuse gli occhi mentre il suo corpo rispondeva al tocco dello sconosciuto. Si abbandonò al bacio e schiuse le labbra, ansioso di assaporare quella bocca. Strinse le mani sui vestiti dello sconosciuto, strattonandoli, in cerca della pelle tiepida che nascondevano. Il bacio fu rovente, inebriante – Hajime stava annegando nel profumo dello sconosciuto, nel suo sapore, come se ne fosse stato affamato per tutta la vita. Lo sconosciuto interruppe il bacio e Hajime quasi gemette per quella perdita, ma il ragazzo si stava abbassando, baciandogli il collo, la clavicola, per poi posargli le labbra sullo stomaco mentre si inginocchiava...
Hajime Kaede strinse le labbra. Il vecchio si stava tormentando le mani, scoccandogli occhiate ansiose, e Hajime si trattenne a stento dal gemere. Samurai. Quella parola gli strisciò nello stomaco, facendogli quasi venire la nausea. Ma il vecchio continuava a guardarlo, con gli occhi sgranati e colmi d’aspettativa, quindi Hajime torse le labbra in un rigido sorriso e annuì. “Certamente, Tanaka-san. Vi sono grato per il vostro zelo.”
L’uomo si allontanò in tutta fretta, e Hajime rimase solo nell’ingresso della locanda. Era buio e silenzioso, appena illuminato da una piccola lanterna. Voleva appoggiarsi al muro, abbassare la testa e sprofondare nella fresca ombra della sera. Invece, sollevò le spalle e inspirò a fondo, e il suo petto muscoloso si tese sotto la sua armatura di cuoio. I suoi lunghi capelli neri erano annodati e incrostati di polvere dopo cinque notti all’addiaccio. Voleva soltanto togliersi i suoi abiti sporchi e consunti, fare un bagno caldo, mangiare del cibo decente e farsi una buona nottata di sonno su un vero futon. Ma Tanaka-san lo aveva accolto con mani tremanti, balbettando riguardo a un terribile male che aveva colpito il villaggio e implorando l’aiuto di Hajime. Ovviamente, Hajime aveva prontamente acconsentito. Ma se avesse dovuto ascoltare per un altro minuto le lodi entusiaste di quell’uomo per i samurai...
Tanaka tornò di corsa, con un sorriso deferente sul volto, lasciando la porta scorrevole di carta semi-aperta per la fretta. Una lanterna illuminava la stanza alle sue spalle e Hajime scorse la sagoma snella di un uomo—immobile, con la luce che faceva scintillare i suoi occhi in modo quasi innaturale e si rifletteva sui suoi capelli neri. Sembrava sorridere, fissando proprio Hajime con aria sorniona. Appena Hajime sbatté le palpebre, la figura svanì. Scosse lentamente la testa, sforzandosi di riportare l’attenzione su Tanaka. Se stava iniziando ad avere allucinazioni, aveva davvero bisogno di farsi una bella dormita.
“Siamo estremamente lieti di ospitarvi,” disse rispettosamente Tanaka. “Se desiderate, vi accompagnerò immediatamente alla vostra stanza.”
Hajime annuì, mormorando un ringraziamento, e seguì il vecchio lungo gli stretti corridoi della locanda. Il legno scricchiolava con un suono caldo sotto i suoi passi; la sua ombra danzava sui sottili schermi di carta che separavano le stanze. “Tanaka-san... vorreste parlarmi del male che affligge il vostro villaggio?”
“Vi prego, pensate solo a riposare, ora, samurai-dono. La questione può attendere fino a domani. Domani vi mostrerò tutto, vi spiegherò ogni cosa. Spero che non vi dispiaccia trattenervi qui...”
“Non mi dispiace affatto,” disse Hajime. “Resterò tutto il tempo necessario.”
Non che avesse niente di meglio da fare con la sua vita. Ma non lo disse ad alta voce.
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Il tatami era ruvido sotto i suoi tabi mentre Hajime tornava dal bagno. Si era lavato e risciacquato attentamente prima di immergersi finalmente nell’acqua calda della vasca. Con gli occhi chiusi aveva inspirato lentamente mentre i suoi muscoli contratti si rilassavano, liberando la tensione dei troppi giorni passati senza riposo. Era passata più di una settimana dall’ultima volta in cui si era lavato con acqua calda, e gli sembrava che il freddo del bosco gli fosse penetrato nelle ossa. Il locandiere gli aveva lasciato uno yukata ripiegato e Hajime lo indossò con gratitudine, lieto di liberarsi dei suoi vestiti inzaccherati.
Quando raggiunse la sua stanza, aprì la porta scorrevole e la sua mano si bloccò sullo stipite di legno. Un giovane uomo con indosso uno yukata arancione era inginocchiato al basso tavolo vicino alla finestra, con il mento poggiato a una mano mentre osservava gli alberi all’esterno. Il primo istinto di Hajime fu di gettarsi verso la sua katana, che aveva lasciato vicino alla parete insieme al suo arco e la sua bisaccia, ma qualcosa nell’aspetto dell’intruso lo fermò. Un’atmosfera pacifica permeava la stanza, e Hajime si sentì d’un tratto la testa leggera, come se fosse piacevolmente stordito. Improvvisamente, era più in pace di quanto fosse da anni e, guardando la snella figura dell’intruso, fu certo di non avere alcuna ragione per essere allarmato.
Avrebbe dovuto fargli capire che c’era davvero qualcosa che non andava.
Lo sconosciuto voltò la testa e gli rivolse un dolce sorriso. I suoi lunghi capelli scuri avevano una strana tonalità color ruggine e incorniciavano un viso grazioso, con zigomi alti e labbra piene. Hajime riconobbe lo stesso giovane uomo che aveva incrociato il suo sguardo poco prima, alle spalle di Tanaka.
“Entrate, ve ne prego,” disse il giovane uomo, con voce gentile e invitante, come una musica lontana. “Vi assicuro che non rappresento una minaccia”
Hajime non esitò prima di entrare nella stanza e richiudere la porta. I suoi effetti personali erano dove li aveva lasciati, intoccati. “Non vorrei essere scortese, ma temo che siate nella stanza sbagliata.”
“Oh, sono esattamente dove desidero essere,” replicò il ragazzo, con gli occhi scintillanti di malizia appena trattenuta. Sollevò il fiasco panciuto poggiato sul tavolo e versò del liquido trasparente in una piccola tazza, simile a un piattino. “Ecco. Vi prego di accettare qualcosa da bere.”
Hajime attraversò la stanza e si inginocchiò vicino al tavolo, esaminando il suo visitatore. Le fattezze del ragazzo erano delicate e assolutamente deliziose. Hajime supponeva che avesse poco più di vent’anni. La sua pelle era insolitamente pallida, quasi luminosa alla luce della candela, e Hajime vide che i suoi occhi erano di un color marrone chiaro, con scintillii dorati quando catturavano barlumi di luce. Quando sollevò la mano per offrirgli la tazza, Hajime poté vedere la pelle liscia e morbida del suo polso. Fu attraversato da un brivido mentre l’improvviso desiderio di poggiare le labbra su quella pelle, di sentire le delicate pulsazioni sotto la lingua, gli sbocciava nella mente. Lottò per non abbassare lo sguardo, improvvisamente accaldato.
Accettò la tazza e se la portò alle labbra, bevendo un sorso. Il sake gli fece bruciare la gola e Hajime si aggrappò a quella sensazione, cercando di ancorare i suoi pensieri vorticanti. Gli girava la testa. Che diamine... “Vi ha mandato il locandiere?” Chiese, quasi sorpreso dalla fermezza della sua voce.
Lo sconosciuto sorrise nuovamente in modo misterioso, inclinando la testa da un lato. “Non proprio. Ma spero che la mia visita sia comunque di vostro gradimento. O samurai-dono trova la mia presenza importuna?” Si sporse in avanti e la stoffa della sua manica sfiorò le dita di Hajime, poggiate sul tavolo.
“Certo che no,” replicò all’istante Hajime. Il profumo del ragazzo lo avvolgeva, dolce e inebriante, facendogli ribollire il sangue. Delle immagini gli fluttuavano nella testa, riscaldandogli il corpo come una lenta tortura: il ragazzo, con lo yukata in disordine; le sue lunghe gambe esposte al tocco di Hajime; la sua pallida gola tesa mentre gettava la testa all’indietro, ansimando e gemendo sotto le mani di Hajime...
Hajime non si rese conto di essere balzato in piedi finché non ebbe fatto tre passi indietro, incespicando sul tatami, con il cuore che batteva all’impazzata. La tazza di sake era rotolata a terra e lo sconosciuto lo guardò, sorpreso, con gli occhi sgranati. Qualcosa non quadrava, pensò freneticamente Hajime, con il corpo improvvisamente bollente. Non era da lui perdere il controllo in tal modo. C’era qualcosa nella stanza, qualcosa che proveniva da quel ragazzo che gli annebbiava la mente e rendeva difficile pensare.
“Qualcosa non va, samurai-dono?” Mormorò lo sconosciuto, alzandosi lentamente in piedi e avvicinandosi ad Hajime con movimenti aggraziati. Hajime si passò una mano sul volto. Era umido di sudore. Gli bruciava la fronte.
“Sì. No. Io... sono molto stanco,” balbettò, con lo sguardo fisso sul corpo snello dello sconosciuto, che lo stava osservando con la testa inclinata da un lato. “Grazie per la vostra... gentilezza. Ma forse sarebbe ora che mi... ritirassi. Per la notte.”
“Certamente.” Lo sconosciuto avanzò, premendo lentamente il corpo contro quello di Hajime e passandogli le braccia intorno al collo. “Anch’io sono stanco di parlare.” I suoi capelli avevano un delicato profumo di fiori di ciliegio, dando alla testa ad Hajime. Si rese conto di aver stretto le braccia intorno allo sconosciuto, senza volerlo, con il corpo vibrante di eccitazione confusa. Si sentiva come ubriaco. Non poteva certo essere il sake...
“Smettetela di pensare,” sussurrò il ragazzo. Guardò Hajime in volto con i suoi grandi occhi prima di sporgersi a baciarlo, sfiorandogli le labbra con la lingua.
Hajime chiuse gli occhi mentre il suo corpo rispondeva al tocco dello sconosciuto. Si abbandonò al bacio e schiuse le labbra, ansioso di assaporare quella bocca. Strinse le mani sui vestiti dello sconosciuto, strattonandoli, in cerca della pelle tiepida che nascondevano. Il bacio fu rovente, inebriante – Hajime stava annegando nel profumo dello sconosciuto, nel suo sapore, come se ne fosse stato affamato per tutta la vita. Lo sconosciuto interruppe il bacio e Hajime quasi gemette per quella perdita, ma il ragazzo si stava abbassando, baciandogli il collo, la clavicola, per poi posargli le labbra sullo stomaco mentre si inginocchiava...