IL DEMONE DEL Tè
Lunghezza: storia breve
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Dreamspinner Press
Genere: steampunk, fantasy, umoristico
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Dreamspinner Press
Genere: steampunk, fantasy, umoristico
Il ladro Eric Devon vuole una sola cosa: che la gente lo lasci in pace. E forse dell’altro whisky. Finchè un misterioso sconosciuto gli offre un lavoro così pericoloso che nessuno ci ha mai provato ed è sopravvissuto per raccontarlo: recuperare un preziosissimo oggetto dall’inespugnabile palazzo dei Mercanti Tartaruga.
Intrigato dall’uomo e dalla sfida, Eric accetta—ma lo sconosciuto altri non è che il leggendario capitano di navi volanti conosciuto come il Demone del Tè, terrore del Mare di Nuvole. Eric deve escogitare il piano migliore della storia se vuole completare il lavoro… e riuscire a sopravvivere. |
Disponibile su Amazon
ESTRATTO
Eric Devon sedeva al bancone della taverna, e voleva solo che la gente lo lasciasse in pace.
Un uomo di mezz’età vestito di viola gli era appeso al braccio, sbavando e supplicando. “Ti prego, Eric. Sei la mia ultima speranza,” biascicò. “Sai cosa mi farà mia… moglie se non recupero quel centrino? Devi aiutarmi…”
Il grosso orologio a pendolo nell’angolo battè le undici. Eric grugnì e si premette le mani sugli occhi prima di passarsi le dita fra gli arruffati capelli neri, incasinandoli ancora di più. Era quasi ora di pranzo e non era neanche lontanamente ubriaco abbastanza. Fece un cenno all’oste. Bisognava rimediare, e alla svelta.
“Eric,” gemette l’uomo in viola. Eric tenne gli occhi fissi sul bicchiere che gli stava venendo riempito davanti. “Sai che non sono bravo a rubare. Ci conosciamo da… da almeno due giorni. Dammi una mano...”
“Sparisci, Olaf.” Eric si impossessò del suo whisky. “Ti ho detto che non sto cercando un lavoro.” Spinse da parte l’uomo vacillante e si fece strada fra la folla fino ad un tavolino vuoto nascosto in un angolo. Si lasciò cadere sulla sedia, con le spalle curve, sentendo il suo umore sprofondare ulteriormente.
“Beh, davvero un peccato.”
Eric sollevò lo sguardo, malevolo. Uno sconosciuto era a cavalcioni sulla sedia di fronte a lui, appoggiato allo schienale, con le braccia incrociate. Stava sorridendo, le labbra incurvate con arroganza nel viso da folletto.
“Cos’è un peccato?” grugnì Eric.
Astuti occhi verdi luccicavano sotto una cascata di ciuffi castani. Lo sconosciuto era avvolto in un mantello rosso, ed aveva i capelli legati in una spessa treccia. Cercò distrattamente di portarsi indietro la frangia con una mano, senza molto successo. Aveva una spessa striscia di cuoio legata intorno al polso. “Il fatto che non cerchi lavoro.”
Eric si sfregò la ruvida barba sul mento. “Come mai?” non riuscì ad impedirsi di chiedere. Lo sconosciuto si strinse nelle spalle, ed eccolo di nuovo—quel sorrisetto arrogante. Irritante, pensò Eric. Ma anche…
“Avevo sentito che eri fuori dal giro.” Con nonchalance, l’uomo si allungò verso una cameriera di passaggio e le rubò una pinta di birra scura dal vassoio. La ragazza proseguì, completamente ignara. “Volevo solo controllare di persona, immagino. Pazienza.”
Eric sentì un sorriso intrigato sbocciargli sulle labbra mentre guardava lo sconosciuto bere un sorso, perfettamente a suo agio. Uno sbaffo di schiuma gli rimase all’angolo della bocca, e lui lo ripulì lentamente, passandosi il pollice sulle labbra piene, per poi leccarlo.
Quando Eric riuscì a distogliere lo sguardo, era troppo tardi. Lo sconosciuto l’aveva visto mentre lo fissava. Gli occhi dell’uomo scintillavano divertiti, ed Eric si sentì arrossire violentemente. Buttò giù quanto restava del suo whisky, facendo del suo meglio per sembrare indifferente e mantenere uno straccio di dignità.
“Avrei potuto avere un lavoro per te. Tutto qui,” disse con gentilezza lo sconosciuto.
“E se io ipoteticamente ti dessi ascolto,” Eric si schiarì la gola. “Che tipo di lavoro sarebbe?”
Lo sconosciuto tracciò il bordo del bicchiere con le dita, in lenti cerchi ipnotici. “Lo chiamerei un… lavoro di recupero. Recuperare un certo oggetto da qualcuno e consegnarlo sano e salvo nella stiva della mia nave.”
“Suona incredibilmente noioso.”
“Suppongo di sì.” Lo sconosciuto gli rivolse di nuovo quel sorriso sghembo. “Però, è un’impresa che nessuno ha mai tentato prima. Beh, alcuni l’hanno tentata… semplicemente, non sono sopravvissuti per raccontarlo. Vedi, il qualcuno a cui mi riferisco non è contento che si... recuperino oggetti da lui. La gente dice che è impossibile, ma a me non piace quel termine. Direi piuttosto che è… in attesa di accadere.”
Eric spinse il bicchiere vuoto da una parte, sprofondando più comodamente nella sedia. I suoi istinti di ladro erano all’erta, un brivido elettrico che gli sfrecciava su e giù lungo i nervi. “Ora, questo suona...” Eccitante. Una ventata d’aria fresca. Esattamente ciò che cercavo. “...vagamente interessante, te lo concedo.”
Gli occhi dello sconosciuto erano intenti sul suo volto, senza farsi sfuggire nulla. Eric si mosse, vagamente a disagio nel sentirsi tutta quell’attenzione addosso. Aveva la fastidiosa sensazione che lo sconosciuto potesse vedere tutto di lui.
“Comunque, ormai ti sei ritirato, e gli uomini come te si ritirano solo per due ragioni. O non ami più il lavoro, o non hai più quel che ci vuole.” La voce dello sconosciuto aveva una durezza a malapena percettibile, e che eppure pungeva in tutti posti sbagliati. “Ad ogni modo, non so più cosa farmene di te.”
Buttò giù ciò che restava della sua birra, sbattè il bicchiere sul tavolo e si alzò per andarsene. Prima che potesse realizzare cosa stava facendo, Eric allungò la mano ed afferrò il polso dello sconosciuto, trattenendolo. Si ritrovò a fissare sorpresi occhi verdi, ed il suo cervello andò in corto circuito. Eric deglutì, cercando disperatamente di ricordarsi come si faceva a pensare.
“Senti un po’,” disse, senza riflettere. D’improvviso, proprio non voleva lasciare che l’arrogante sconosciuto se ne andasse così facilmente dalla sua vita. “E se lasciassimo decidere a un gioco di dadi. Se vinci, vengo con te e faccio il lavoro.”
Lo sconosciuto esitò, ancora mezzo voltato verso l’uscita. “Come faccio a sapere che sei ancora l’uomo di cui ho bisogno?”
Eric si concesse un sorrisetto e sollevò la mano libera. Nel suo palmo scintillava un piccolo cerchio d’argento, che rifletteva la luce fredda delle lampade a gas. Per un attimo, lo sconosciuto non riuscì a nascondere un’espressione di genuino shock. Si portò bruscamente la mano all’orecchio, appurando con la punta delle dita che sì, il suo orecchino era proprio sparito. Lentamente, le sue labbra si incurvarono in un sorriso intrigato, e si sedette nuovamente.
“Come hai fatto?”
Eric esitò appena un momento di troppo prima di lasciargli andare il polso. Si portò un dito alle labbra. “Segreto.”
I denti dello sconosciuto scintillarono in un sorriso sincero. “Posso averlo indietro?”
“Solo se accetti la mia proposta.” Eric affondò una mano in tasca e mise sul tavolo due dadi d’osso. “Il numero più alto vince. Rapido e indolore, ci vorranno pochi secondi. Non hai niente da perdere.”
“Questo dipende.” Lo sconosciuto si scostò i capelli dagli occhi. “E se vinci tu?”
“Se vinco io, mi dai un bacio.”
Luminosi occhi verdi si spalancarono, labbra piene si schiusero per la sorpresa. E con questa erano due volte in meno di un minuto che era riuscito a lasciare il bello sconosciuto senza parole, pensò Eric con non poca soddisfazione. Gli dava un brivido che non prometteva niente di buono.
Lo sconosciuto chiuse di scatto la bocca. Arrossì mentre allungava di scatto la mano a recuperare il suo orecchino. “Va bene,” disse, cercando di suonare altezzoso. Ma Eric poteva sentire l’incertezza nella sua voce, e dovette trattenere un sorriso.
Senza commentare, Eric raccolse i dadi e li lanciò. Tre e due. Uno schifo, considerò, mentre lo sconosciuto prendeva i dadi e li agitava nel pugno chiuso. Uno avrebbe dovuto essere sfortunato in modo spettacolare per fare meno di--
Uno e uno.
Eric fischiò. “Beh, questa è sfiga bella e buona.”
“Non sono molto portato per le scommesse,” borbottò lo sconosciuto, con gli occhi risolutamente fissi sul tavolo. Eric pensò che doveva essere l’eufemismo dell’anno, ma gentilmente evitò di dirlo ad alta voce.
“Meglio per me,” mormorò invece, alzandosi dalla sedia e protendendosi lentamente in avanti, con le mani poggiate sul tavolo.
Lo sconosciuto si mosse, a disagio, il suo respiro accelerato in quello che sembrava vago panico. “Aspetta,” balbettò. “Non abbiamo—non sai nemmeno come mi chiamo, io—non dovremmo—”
Eric chiuse la mano sul suo mantello rosso e lo attirò in avanti fino ad essere a pochi centimetri da quei luminosi occhi verdi—fino a sentire il calore che irradiava dal corpo dello sconosciuto, sentire il battito impazzito del suo cuore. Lentamente, premette le labbra all’angolo della bocca dello sconosciuto e fece scorrere la lingua lungo il suo labbro inferiore, seguendo il percorso che aveva tracciato prima col pollice. Sentì l’ansito tremante dell’uomo, l’impercettibile sussulto del suo respiro.
Eric lasciò scivolare la mano lungo il collo dello sconosciuto, sentendo le sue pulsazioni rapide appena sotto la pelle, prima di andare oltre e curvarla intorno alla sua nuca, affondando le dita fra soffici capelli castani. Gli chiuse la bocca sul labbro inferiore e lo morse con delicatezza, ricompensato da un altro respiro spezzato. Eric fu svelto ad approfittarne, facendo scivolare la lingua fra le labbra dello sconosciuto e nel calore della sua bocca. Sapeva di fumo e birra scura, un sapore forte e secco che fece ribollire il sangue nelle vene di Eric. Lo strinse più forte fra le braccia, godendosi la sensazione del corpo muscoloso che vibrava di energia sotto le sue mani. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva stretto un altro uomo. Mentre inghiottiva il gemito soffocato dello sconosciuto, Eric fu scosso dal realizzare quanto gli fosse mancato.
Una mano esitante si poggiò sulla sua spalla, si mosse fino all’angolo della sua mandibola, le dita che sfioravano la pelle delicata dietro il suo orecchio. Eric chiuse gli occhi, trattenendo un gemito mentre sentiva lo sconosciuto farsi più audace. La mano lo strinse più forte, lo attirò in avanti, improvvisamente esigente. Lo sconosciuto aprì la bocca per ricambiare il bacio, senza vergogna, caldo e bagnato. Eric sentì il proprio corpo rispondere, il suo cazzo irrigidirsi contro la stoffa dei suoi pantaloni. Esplorò la bocca dello sconosciuto, gli succhiò la lingua, poi gli strinse il pugno fra i capelli mentre un’ondata di voglia bruciante e improvvisa lo attraversava, colmandolo di fame rabbiosa. Il bacio si fece lento e profondo, una danza sensuale che strappò allo sconosciuto gemiti quasi troppo intensi. In un angolo della sua mente, Eric era cosciente del fatto che alcuni clienti si erano voltati nella loro direzione e seguivano le loro azioni, lascivi. Un’improvvisa, indesiderata gelosia gli bruciò nelle vene, gli salì alla testa. Non voleva che nessun altro posasse gli occhi sull’affascinante sconosciuto.
Con un ultimo morso leggero sulle labbra piene dell’uomo, Eric fece forza su se stesso e si tirò indietro. Si godette la vista—lo sconosciuto aveva un’aria assolutamente deliziosa, accaldato ed arruffato, la bocca ancora socchiusa, arrossata dal bacio. Non c’era più traccia della sua arroganza di prima. Posò su Eric i suoi luminosi occhi verdi, con le palpebre pesanti, ed il ladro dovette combattere l’improvviso, prepotente bisogno di afferrarlo e divorarlo lì sullo stramaledetto tavolo. Si protese nuovamente in avanti, un basso ringhio che gli ribolliva in gola, determinato a rubare un altro bacio, alla faccia dei guardoni. Poggiò la punta delle dita sul mento dello sconosciuto, inclinò il suo viso verso l’alto--
Olaf eruppe dalla folla in una nube di vapori alcolici e si schiantò con la sua considerevole mole contro il tavolo.
“Sheric,” biascicò, suonando se possible ancora più ubriaco di prima. “Ho preso una deshisione. Sharò… al tuo fianco ogni giorno ed ogni notte ed ogni… giorno e non dormirò neanche finchè non asshetterai il mio incarico.”
Eric alzò gli occhi al cielo. Lanciò uno sguardo verso lo sconosciuto, che era stato rapido a ricomporsi, un accenno di rossore sulle sue guance l’unica traccia rimasta del suo stato scompigliato. L’impulso di dare ad Olaf una testata in faccia si fece quasi irresistibile.
“Scusa, Olaf,” disse Eric, e passò il braccio attorno alle spalle dello sconosciuto. “Ho già un lavoro. Lo straniero ha vinto i miei servigi in un’onesta scommessa. Desolato, amico—capirai che ho le mani legate.”
Olaf gesticolò, sputacchiando, cercando di articolare una risposta. Apparentemente si stancò di provarci, perché si lanciò in avanti sferrando un pugno maldestro. Eric gli afferrò il polso e lanciò con facilità l’uomo oltre la propria spalla, mandandolo a schiantarsi su un tavolo vicino. Olaf, il tavolo, e i numerosi bicchieri che c’erano sopra crollarono a terra in un esplosione di schegge, frammenti di vetro, e birra. Gli uomini molto grossi e poco amichevoli che vi erano seduti si voltarono a fissare Eric, con i visi imbrattati di birra e l’aria decisamente contrariata.
“Scusate.” Eric sfoderò un sorriso poco convincente, sollevando una mano in un cenno di scusa. “Ora, non c’è bisogno di prenderla male…”
Si chinò appena in tempo per evitare il pugno diretto verso la sua faccia, che colpì l’uomo in abito scuro al tavolo dietro di lui. Il tale si alzò lentamente, sporco di sangue dopo aver spaccato un bicchiere con la faccia, e si lanciò oltre il tavolo di Eric per afferrare il suo aggressore. Nel processo, riuscì a dare una gomitata ad un cameriere di passaggio, facendogli rovesciare i numerosi bicchieri che portava sulla testa di un cliente a caso.
In mezzo a persone che urlavano e sedie volanti, Eric si trovò schiena contro schiena con lo sconosciuto, con le braccia sollevate a parare il pugno di un mercante ubriaco. “Ehilà,” salutò, senza fiato. Colpì il mercante in pieno diaframma con un calcio, facendolo ruzzolare indietro nella folla inferocita. “Tutto bene?”
“Non mi lamento.” Lo sconosciuto si mosse rapidamente, il suo mantello un turbine rosso, ed un uomo basso e grassoccio volò con fragore fuori da una finestra. “Attento a sinistra.”
Eric si voltò appena in tempo per parare un gancio diretto alla sua testa. Mise una mano contro la spalla dell’aggressore, gli afferrò il polso, e girò seccamente. Qualcosa fece crack, e l’aggressore andò giù con un guaito. “Grazie. Ehi, attento—”
Un uomo incredibilmente grosso caricò con tutto il suo peso e l’impatto fece perdere l’equilibrio allo sconosciuto, facendolo barcollare all’indietro. Eric fu svelto ad afferrarlo mentre cadeva, incrociandogli le braccia intorno al petto. Lo sconosciuto non perse un colpo, sollevando agilmente le gambe e colpendo il suo aggressore in pieno sterno con gli stivali. L’uomo crollò all’indietro sul bancone dell’osteria, mandandolo in pezzi.
“Grazie,” disse lo sconosciuto, riguadagnando l’equilibrio. Riluttante, Eric lo lasciò andare.
“Di nien—”
Si lanciarono di lato come un sol uomo quando una sedia volò nella loro direzione, e rotolarono in un groviglio di arti sotto un largo tavolo che era miracolosamente ancora intatto. Eric si ritrovò sopra lo sconosciuto, i loro corpi premuti l’uno contro l’altro dal torace ai fianchi, un ginocchio fra le sue gambe. Si fissarono per un lungo istante, senza fiato. Lo sconosciuto era arrossato dalla lotta, i suoi occhi scintillanti, il suo respiro affannato. Un diverso tipo di eccitazione si risvegliò nel corpo di Eric, istinti predatori che sgorgavano non richiesti nella sua mente.
Lo sconosciuto gli diede una spinta violenta ed Eric cadde di lato, sbattendo il gomito sul pavimento.
“Ahia,” protestò, ansimando. Si rotolò sulla schiena, stringendosi il braccio, mentre stupidi, dolorosissimi spasmi che gli si arrampicavano fino alla spalla. “Non era il caso.”
Lo sconosciuto si arrabattò per tirarsi su e si sedette a gambe incrociate, con il sorrisino irritante di nuovo sul volto. Afferrò una bottiglia di vetro scuro che doveva essere rotolata sotto il tavolo quand’era iniziato il casino, e strappò via il turacciolo con i denti. Bevve a grandi sorsate, la sua gola che si muoveva mentre inghiottiva, poi passò la birra ad Eric. Il ladro si sollevò su un braccio e alzò la bottiglia in un brindisi incerto. Immaginava che non avrebbe ottenuto delle scuse. “Grazie.”
“Nessun problema.” Lo sconosciuto si gettò la treccia dietro le spalle e si diede una pacca sulle ginocchia. “Beh, è ora che tolga il disturbo. Piacere di averti conosciuto.”
“Aspetta,” Eric si precipitò a dire. Della birra gli andò di traverso, e tossì e sputacchiò sotto gli occhi divertiti dello sconosciuto. “Vengo con te.”
Lo sconosciuto lo fissò, incerto. “Hai vinto tu la scommessa.”
“Lo so. Ma ho detto a Olaf che avrei lavorato per te.” Eric si strinse nelle spalle, per quanto uno possa stringersi nelle spalle sdraiato sul pavimento. “Non posso certo rimangiarmi la parola, no?”
“Pensa un po’.” Un lento sorriso si allargò sulle labbra dello sconosciuto, stranamente confortante nel caos che ruggiva tutt’intorno a loro. “Forse sei l’uomo di cui ho bisogno, dopo tutto.”
Il grande orologio a pendolo vacillò e crollò a terra di fianco a loro, in un’esplosione di schegge di vetro e ingranaggi.
Un uomo di mezz’età vestito di viola gli era appeso al braccio, sbavando e supplicando. “Ti prego, Eric. Sei la mia ultima speranza,” biascicò. “Sai cosa mi farà mia… moglie se non recupero quel centrino? Devi aiutarmi…”
Il grosso orologio a pendolo nell’angolo battè le undici. Eric grugnì e si premette le mani sugli occhi prima di passarsi le dita fra gli arruffati capelli neri, incasinandoli ancora di più. Era quasi ora di pranzo e non era neanche lontanamente ubriaco abbastanza. Fece un cenno all’oste. Bisognava rimediare, e alla svelta.
“Eric,” gemette l’uomo in viola. Eric tenne gli occhi fissi sul bicchiere che gli stava venendo riempito davanti. “Sai che non sono bravo a rubare. Ci conosciamo da… da almeno due giorni. Dammi una mano...”
“Sparisci, Olaf.” Eric si impossessò del suo whisky. “Ti ho detto che non sto cercando un lavoro.” Spinse da parte l’uomo vacillante e si fece strada fra la folla fino ad un tavolino vuoto nascosto in un angolo. Si lasciò cadere sulla sedia, con le spalle curve, sentendo il suo umore sprofondare ulteriormente.
“Beh, davvero un peccato.”
Eric sollevò lo sguardo, malevolo. Uno sconosciuto era a cavalcioni sulla sedia di fronte a lui, appoggiato allo schienale, con le braccia incrociate. Stava sorridendo, le labbra incurvate con arroganza nel viso da folletto.
“Cos’è un peccato?” grugnì Eric.
Astuti occhi verdi luccicavano sotto una cascata di ciuffi castani. Lo sconosciuto era avvolto in un mantello rosso, ed aveva i capelli legati in una spessa treccia. Cercò distrattamente di portarsi indietro la frangia con una mano, senza molto successo. Aveva una spessa striscia di cuoio legata intorno al polso. “Il fatto che non cerchi lavoro.”
Eric si sfregò la ruvida barba sul mento. “Come mai?” non riuscì ad impedirsi di chiedere. Lo sconosciuto si strinse nelle spalle, ed eccolo di nuovo—quel sorrisetto arrogante. Irritante, pensò Eric. Ma anche…
“Avevo sentito che eri fuori dal giro.” Con nonchalance, l’uomo si allungò verso una cameriera di passaggio e le rubò una pinta di birra scura dal vassoio. La ragazza proseguì, completamente ignara. “Volevo solo controllare di persona, immagino. Pazienza.”
Eric sentì un sorriso intrigato sbocciargli sulle labbra mentre guardava lo sconosciuto bere un sorso, perfettamente a suo agio. Uno sbaffo di schiuma gli rimase all’angolo della bocca, e lui lo ripulì lentamente, passandosi il pollice sulle labbra piene, per poi leccarlo.
Quando Eric riuscì a distogliere lo sguardo, era troppo tardi. Lo sconosciuto l’aveva visto mentre lo fissava. Gli occhi dell’uomo scintillavano divertiti, ed Eric si sentì arrossire violentemente. Buttò giù quanto restava del suo whisky, facendo del suo meglio per sembrare indifferente e mantenere uno straccio di dignità.
“Avrei potuto avere un lavoro per te. Tutto qui,” disse con gentilezza lo sconosciuto.
“E se io ipoteticamente ti dessi ascolto,” Eric si schiarì la gola. “Che tipo di lavoro sarebbe?”
Lo sconosciuto tracciò il bordo del bicchiere con le dita, in lenti cerchi ipnotici. “Lo chiamerei un… lavoro di recupero. Recuperare un certo oggetto da qualcuno e consegnarlo sano e salvo nella stiva della mia nave.”
“Suona incredibilmente noioso.”
“Suppongo di sì.” Lo sconosciuto gli rivolse di nuovo quel sorriso sghembo. “Però, è un’impresa che nessuno ha mai tentato prima. Beh, alcuni l’hanno tentata… semplicemente, non sono sopravvissuti per raccontarlo. Vedi, il qualcuno a cui mi riferisco non è contento che si... recuperino oggetti da lui. La gente dice che è impossibile, ma a me non piace quel termine. Direi piuttosto che è… in attesa di accadere.”
Eric spinse il bicchiere vuoto da una parte, sprofondando più comodamente nella sedia. I suoi istinti di ladro erano all’erta, un brivido elettrico che gli sfrecciava su e giù lungo i nervi. “Ora, questo suona...” Eccitante. Una ventata d’aria fresca. Esattamente ciò che cercavo. “...vagamente interessante, te lo concedo.”
Gli occhi dello sconosciuto erano intenti sul suo volto, senza farsi sfuggire nulla. Eric si mosse, vagamente a disagio nel sentirsi tutta quell’attenzione addosso. Aveva la fastidiosa sensazione che lo sconosciuto potesse vedere tutto di lui.
“Comunque, ormai ti sei ritirato, e gli uomini come te si ritirano solo per due ragioni. O non ami più il lavoro, o non hai più quel che ci vuole.” La voce dello sconosciuto aveva una durezza a malapena percettibile, e che eppure pungeva in tutti posti sbagliati. “Ad ogni modo, non so più cosa farmene di te.”
Buttò giù ciò che restava della sua birra, sbattè il bicchiere sul tavolo e si alzò per andarsene. Prima che potesse realizzare cosa stava facendo, Eric allungò la mano ed afferrò il polso dello sconosciuto, trattenendolo. Si ritrovò a fissare sorpresi occhi verdi, ed il suo cervello andò in corto circuito. Eric deglutì, cercando disperatamente di ricordarsi come si faceva a pensare.
“Senti un po’,” disse, senza riflettere. D’improvviso, proprio non voleva lasciare che l’arrogante sconosciuto se ne andasse così facilmente dalla sua vita. “E se lasciassimo decidere a un gioco di dadi. Se vinci, vengo con te e faccio il lavoro.”
Lo sconosciuto esitò, ancora mezzo voltato verso l’uscita. “Come faccio a sapere che sei ancora l’uomo di cui ho bisogno?”
Eric si concesse un sorrisetto e sollevò la mano libera. Nel suo palmo scintillava un piccolo cerchio d’argento, che rifletteva la luce fredda delle lampade a gas. Per un attimo, lo sconosciuto non riuscì a nascondere un’espressione di genuino shock. Si portò bruscamente la mano all’orecchio, appurando con la punta delle dita che sì, il suo orecchino era proprio sparito. Lentamente, le sue labbra si incurvarono in un sorriso intrigato, e si sedette nuovamente.
“Come hai fatto?”
Eric esitò appena un momento di troppo prima di lasciargli andare il polso. Si portò un dito alle labbra. “Segreto.”
I denti dello sconosciuto scintillarono in un sorriso sincero. “Posso averlo indietro?”
“Solo se accetti la mia proposta.” Eric affondò una mano in tasca e mise sul tavolo due dadi d’osso. “Il numero più alto vince. Rapido e indolore, ci vorranno pochi secondi. Non hai niente da perdere.”
“Questo dipende.” Lo sconosciuto si scostò i capelli dagli occhi. “E se vinci tu?”
“Se vinco io, mi dai un bacio.”
Luminosi occhi verdi si spalancarono, labbra piene si schiusero per la sorpresa. E con questa erano due volte in meno di un minuto che era riuscito a lasciare il bello sconosciuto senza parole, pensò Eric con non poca soddisfazione. Gli dava un brivido che non prometteva niente di buono.
Lo sconosciuto chiuse di scatto la bocca. Arrossì mentre allungava di scatto la mano a recuperare il suo orecchino. “Va bene,” disse, cercando di suonare altezzoso. Ma Eric poteva sentire l’incertezza nella sua voce, e dovette trattenere un sorriso.
Senza commentare, Eric raccolse i dadi e li lanciò. Tre e due. Uno schifo, considerò, mentre lo sconosciuto prendeva i dadi e li agitava nel pugno chiuso. Uno avrebbe dovuto essere sfortunato in modo spettacolare per fare meno di--
Uno e uno.
Eric fischiò. “Beh, questa è sfiga bella e buona.”
“Non sono molto portato per le scommesse,” borbottò lo sconosciuto, con gli occhi risolutamente fissi sul tavolo. Eric pensò che doveva essere l’eufemismo dell’anno, ma gentilmente evitò di dirlo ad alta voce.
“Meglio per me,” mormorò invece, alzandosi dalla sedia e protendendosi lentamente in avanti, con le mani poggiate sul tavolo.
Lo sconosciuto si mosse, a disagio, il suo respiro accelerato in quello che sembrava vago panico. “Aspetta,” balbettò. “Non abbiamo—non sai nemmeno come mi chiamo, io—non dovremmo—”
Eric chiuse la mano sul suo mantello rosso e lo attirò in avanti fino ad essere a pochi centimetri da quei luminosi occhi verdi—fino a sentire il calore che irradiava dal corpo dello sconosciuto, sentire il battito impazzito del suo cuore. Lentamente, premette le labbra all’angolo della bocca dello sconosciuto e fece scorrere la lingua lungo il suo labbro inferiore, seguendo il percorso che aveva tracciato prima col pollice. Sentì l’ansito tremante dell’uomo, l’impercettibile sussulto del suo respiro.
Eric lasciò scivolare la mano lungo il collo dello sconosciuto, sentendo le sue pulsazioni rapide appena sotto la pelle, prima di andare oltre e curvarla intorno alla sua nuca, affondando le dita fra soffici capelli castani. Gli chiuse la bocca sul labbro inferiore e lo morse con delicatezza, ricompensato da un altro respiro spezzato. Eric fu svelto ad approfittarne, facendo scivolare la lingua fra le labbra dello sconosciuto e nel calore della sua bocca. Sapeva di fumo e birra scura, un sapore forte e secco che fece ribollire il sangue nelle vene di Eric. Lo strinse più forte fra le braccia, godendosi la sensazione del corpo muscoloso che vibrava di energia sotto le sue mani. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui aveva stretto un altro uomo. Mentre inghiottiva il gemito soffocato dello sconosciuto, Eric fu scosso dal realizzare quanto gli fosse mancato.
Una mano esitante si poggiò sulla sua spalla, si mosse fino all’angolo della sua mandibola, le dita che sfioravano la pelle delicata dietro il suo orecchio. Eric chiuse gli occhi, trattenendo un gemito mentre sentiva lo sconosciuto farsi più audace. La mano lo strinse più forte, lo attirò in avanti, improvvisamente esigente. Lo sconosciuto aprì la bocca per ricambiare il bacio, senza vergogna, caldo e bagnato. Eric sentì il proprio corpo rispondere, il suo cazzo irrigidirsi contro la stoffa dei suoi pantaloni. Esplorò la bocca dello sconosciuto, gli succhiò la lingua, poi gli strinse il pugno fra i capelli mentre un’ondata di voglia bruciante e improvvisa lo attraversava, colmandolo di fame rabbiosa. Il bacio si fece lento e profondo, una danza sensuale che strappò allo sconosciuto gemiti quasi troppo intensi. In un angolo della sua mente, Eric era cosciente del fatto che alcuni clienti si erano voltati nella loro direzione e seguivano le loro azioni, lascivi. Un’improvvisa, indesiderata gelosia gli bruciò nelle vene, gli salì alla testa. Non voleva che nessun altro posasse gli occhi sull’affascinante sconosciuto.
Con un ultimo morso leggero sulle labbra piene dell’uomo, Eric fece forza su se stesso e si tirò indietro. Si godette la vista—lo sconosciuto aveva un’aria assolutamente deliziosa, accaldato ed arruffato, la bocca ancora socchiusa, arrossata dal bacio. Non c’era più traccia della sua arroganza di prima. Posò su Eric i suoi luminosi occhi verdi, con le palpebre pesanti, ed il ladro dovette combattere l’improvviso, prepotente bisogno di afferrarlo e divorarlo lì sullo stramaledetto tavolo. Si protese nuovamente in avanti, un basso ringhio che gli ribolliva in gola, determinato a rubare un altro bacio, alla faccia dei guardoni. Poggiò la punta delle dita sul mento dello sconosciuto, inclinò il suo viso verso l’alto--
Olaf eruppe dalla folla in una nube di vapori alcolici e si schiantò con la sua considerevole mole contro il tavolo.
“Sheric,” biascicò, suonando se possible ancora più ubriaco di prima. “Ho preso una deshisione. Sharò… al tuo fianco ogni giorno ed ogni notte ed ogni… giorno e non dormirò neanche finchè non asshetterai il mio incarico.”
Eric alzò gli occhi al cielo. Lanciò uno sguardo verso lo sconosciuto, che era stato rapido a ricomporsi, un accenno di rossore sulle sue guance l’unica traccia rimasta del suo stato scompigliato. L’impulso di dare ad Olaf una testata in faccia si fece quasi irresistibile.
“Scusa, Olaf,” disse Eric, e passò il braccio attorno alle spalle dello sconosciuto. “Ho già un lavoro. Lo straniero ha vinto i miei servigi in un’onesta scommessa. Desolato, amico—capirai che ho le mani legate.”
Olaf gesticolò, sputacchiando, cercando di articolare una risposta. Apparentemente si stancò di provarci, perché si lanciò in avanti sferrando un pugno maldestro. Eric gli afferrò il polso e lanciò con facilità l’uomo oltre la propria spalla, mandandolo a schiantarsi su un tavolo vicino. Olaf, il tavolo, e i numerosi bicchieri che c’erano sopra crollarono a terra in un esplosione di schegge, frammenti di vetro, e birra. Gli uomini molto grossi e poco amichevoli che vi erano seduti si voltarono a fissare Eric, con i visi imbrattati di birra e l’aria decisamente contrariata.
“Scusate.” Eric sfoderò un sorriso poco convincente, sollevando una mano in un cenno di scusa. “Ora, non c’è bisogno di prenderla male…”
Si chinò appena in tempo per evitare il pugno diretto verso la sua faccia, che colpì l’uomo in abito scuro al tavolo dietro di lui. Il tale si alzò lentamente, sporco di sangue dopo aver spaccato un bicchiere con la faccia, e si lanciò oltre il tavolo di Eric per afferrare il suo aggressore. Nel processo, riuscì a dare una gomitata ad un cameriere di passaggio, facendogli rovesciare i numerosi bicchieri che portava sulla testa di un cliente a caso.
In mezzo a persone che urlavano e sedie volanti, Eric si trovò schiena contro schiena con lo sconosciuto, con le braccia sollevate a parare il pugno di un mercante ubriaco. “Ehilà,” salutò, senza fiato. Colpì il mercante in pieno diaframma con un calcio, facendolo ruzzolare indietro nella folla inferocita. “Tutto bene?”
“Non mi lamento.” Lo sconosciuto si mosse rapidamente, il suo mantello un turbine rosso, ed un uomo basso e grassoccio volò con fragore fuori da una finestra. “Attento a sinistra.”
Eric si voltò appena in tempo per parare un gancio diretto alla sua testa. Mise una mano contro la spalla dell’aggressore, gli afferrò il polso, e girò seccamente. Qualcosa fece crack, e l’aggressore andò giù con un guaito. “Grazie. Ehi, attento—”
Un uomo incredibilmente grosso caricò con tutto il suo peso e l’impatto fece perdere l’equilibrio allo sconosciuto, facendolo barcollare all’indietro. Eric fu svelto ad afferrarlo mentre cadeva, incrociandogli le braccia intorno al petto. Lo sconosciuto non perse un colpo, sollevando agilmente le gambe e colpendo il suo aggressore in pieno sterno con gli stivali. L’uomo crollò all’indietro sul bancone dell’osteria, mandandolo in pezzi.
“Grazie,” disse lo sconosciuto, riguadagnando l’equilibrio. Riluttante, Eric lo lasciò andare.
“Di nien—”
Si lanciarono di lato come un sol uomo quando una sedia volò nella loro direzione, e rotolarono in un groviglio di arti sotto un largo tavolo che era miracolosamente ancora intatto. Eric si ritrovò sopra lo sconosciuto, i loro corpi premuti l’uno contro l’altro dal torace ai fianchi, un ginocchio fra le sue gambe. Si fissarono per un lungo istante, senza fiato. Lo sconosciuto era arrossato dalla lotta, i suoi occhi scintillanti, il suo respiro affannato. Un diverso tipo di eccitazione si risvegliò nel corpo di Eric, istinti predatori che sgorgavano non richiesti nella sua mente.
Lo sconosciuto gli diede una spinta violenta ed Eric cadde di lato, sbattendo il gomito sul pavimento.
“Ahia,” protestò, ansimando. Si rotolò sulla schiena, stringendosi il braccio, mentre stupidi, dolorosissimi spasmi che gli si arrampicavano fino alla spalla. “Non era il caso.”
Lo sconosciuto si arrabattò per tirarsi su e si sedette a gambe incrociate, con il sorrisino irritante di nuovo sul volto. Afferrò una bottiglia di vetro scuro che doveva essere rotolata sotto il tavolo quand’era iniziato il casino, e strappò via il turacciolo con i denti. Bevve a grandi sorsate, la sua gola che si muoveva mentre inghiottiva, poi passò la birra ad Eric. Il ladro si sollevò su un braccio e alzò la bottiglia in un brindisi incerto. Immaginava che non avrebbe ottenuto delle scuse. “Grazie.”
“Nessun problema.” Lo sconosciuto si gettò la treccia dietro le spalle e si diede una pacca sulle ginocchia. “Beh, è ora che tolga il disturbo. Piacere di averti conosciuto.”
“Aspetta,” Eric si precipitò a dire. Della birra gli andò di traverso, e tossì e sputacchiò sotto gli occhi divertiti dello sconosciuto. “Vengo con te.”
Lo sconosciuto lo fissò, incerto. “Hai vinto tu la scommessa.”
“Lo so. Ma ho detto a Olaf che avrei lavorato per te.” Eric si strinse nelle spalle, per quanto uno possa stringersi nelle spalle sdraiato sul pavimento. “Non posso certo rimangiarmi la parola, no?”
“Pensa un po’.” Un lento sorriso si allargò sulle labbra dello sconosciuto, stranamente confortante nel caos che ruggiva tutt’intorno a loro. “Forse sei l’uomo di cui ho bisogno, dopo tutto.”
Il grande orologio a pendolo vacillò e crollò a terra di fianco a loro, in un’esplosione di schegge di vetro e ingranaggi.