IL BLUES DELL' ANGELO
Lunghezza: storia breve
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Dreamspinner Press
Genere: contemporaneo, paranormale, poliziesco
Editore: autopubblicato. Precedentemente pubblicato da Dreamspinner Press
Genere: contemporaneo, paranormale, poliziesco
È una qualunque notte deprimente quando Nathan, un poliziotto navigato, trova appollaiato sul davanzale della sua finestra uno sconosciuto, che condivide la sua passione per il blues. Preoccupato per la sua sanità mentale, Nathan fa del suo meglio per ignorare il ragazzo, che continua a materializzarsi nei momenti meno opportuni... e sostiene di essere un angelo, per di più.
Almeno finché Nathan non si trova dalla parte sbagliata di una pistola, ed è costretto ad ammettere quanto lo sconosciuto sia diventato importante per lui. E, quando il suo irriverente angelo custode sembra essere scomparso, deve riuscire a capire se ciò che gli sta accadendo sia reale... o se il suo psicologo abbia ragione, e lui stia finalmente andando fuori di testa |
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ESTRATTO
Erano le 23:32, era buio, e le finestre spandevano una fredda luce nella stanza quando l'agente Nathan Moore decise che ne aveva abbastanza.
Era afflosciato sulla sua poltrona preferita, vecchia e morbida e sistemata a distanza strategica dal suo stereo, dove Il Re dei Bluesman del Delta, Vol.II suonava a volume sommesso. Nathan stiracchiò le braccia, la pelle scura tesa sui muscoli dolenti, e si versò dell'altro bourbon.
Il bicchiere era fresco e pesante; il ghiaccio tintinnò quando se lo portò alla testa, appoggiandoselo a una tempia pulsante. Il freddo si spanse lentamente, un fresco velo che attenuava almeno un po' il dolore. Nathan chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi contro lo schienale. La pelle cigolò sotto il suo peso. Nathan avrebbe voluto poter spegnere il cervello; distrattamente, immaginò di sbattersi il pesante bicchiere sulla fronte più e più volte fino a spaccare l'osso, lasciando che il pulsare e gli insistenti ritornelli si rovesciassero fuori. Non c'era alcun silenzio, nella sua testa.
(Gli accordi del signor Johnson risuonavano nella stanza vuota, arricciandosi intorno a lui in onde sonnolente. Era piacevole: gli era quasi d'aiuto.)
“Non sembra una buona idea,” disse una voce, delicata e discreta, scivolando in una pausa della chitarra prima dell'assolo finale.
“Ci stavo solo pensando,” grugnì Nathan, senza disturbarsi ad aprire gli occhi. Una brezza leggera gli sfiorava il collo, il che era abbastanza gradevole. “Non sono così stupido.”
“Sì, beh. Buono a sapersi,” commentò la voce, con tono divertito. Nathan sentì un pizzico di irritazione verso lo sconosciuto, che credeva fosse appropriato...
...e in quel momento se ne accorse. Portò la mano alla cintura, sollevando la pistola a mezz'aria prima che il suo cervello finalmente, finalmente si mise al passo (valuta la situazione: analizza la minaccia. Sii rapido, efficiente). Aprì di scatto gli occhi, ispezionando la stanza e, maledizione, sembrava che fosse davvero uno stupido.
La finestra era stata socchiusa; le tende erano aperte e la strada scintillava nella fessura, intrufolandosi nella stanza. Eccolo lì. La pistola di Nathan era ferma nella sua mano quando abbaiò: “Fermo. Mani sopra la testa. Subito.” C'era qualcuno, un giovane uomo, appollaiato sul davanzale. E, nella penombra della stanza, nella debole luce azzurra dello stereo, sembrava sorridere.
Nathan sbatté le palpebre e si trattenne dallo scuotere la testa. C'era qualcosa che non andava. “Ehi. Ho detto, mani sopra la testa. Sbrigati.”
Il ragazzo si limitò a guardarlo, con le labbra incurvate nell'accenno di un sorrisetto malizioso. “Rilassati. Ti assicuro che non rappresento una minaccia,” disse, sporgendosi in avanti, con le mani intrecciate in grembo. I suoi occhi erano luminosi, benevoli, stranamente luccicanti. Nathan si domandò perché lo trovasse così irritante.
“Spero mi perdonerai se non ti credo sulla parola,” replicò Nathan, prendendo accuratamente la mira. “Ora, se non ti dispiace...”
“Mani sopra la testa. Ti ho sentito,” ribatté il ragazzo, con tono scherzoso. Ma non obbedì; inclinò la testa da un lato, fissando un punto alla sinistra di Nathan. Sembrava intento all'ascolto, mentre il brontolio dei motori filtrava dalla strada e l'aria della notte gli scompigliava i capelli, ondulati e scomposti, che gli arrivavano al mento. “'Me and the Devil Blues'. È un classico,” disse, con aria di approvazione. Si stava tamburellando sulla coscia con le dita. “Immagino che ci sia anche 'Crossroads Blues', vero?”
“Sì, fra un paio di canzoni,” replicò Nathan. Sbatté di nuovo le palpebre... non doveva distrarsi. Ma i rumori della strada si mischiavano in modo affascinante alla musica, accompagnandola nota dopo nota. Le dita dello sconosciuto picchiettavano sui suoi jeans, leggere e vagamente ipnotiche. Nathan dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo, riportando gli occhi sulla pistola. Probabilmente avrebbe dovuto chiudere il becco. “Conosci Robert Johnson?” Chiese invece, mentre la pistola iniziava a pesare in fondo al suo braccio stanco.
“In un certo senso,” replicò con gentilezza lo sconosciuto. “Fra l'altro, puoi abbassarla.” Indicò la pistola con un cenno del mento. Nathan gemette e mosse il bicchiere che ancora si premeva alla tempia.
“Non credo proprio,” disse. Per qualche motivo, non riusciva a districarsi dalla pesante, placida atmosfera che sembrava aver avvolto la stanza. Voleva essere lucido e concentrato, ma i suoi sensi reagivano troppo lentamente, come se fossero immersi in densa melassa calda. Nathan sentì un fremito di paura vicino alla nuca. Forse era stato drogato. Cercò di ricordare se il whisky avesse avuto un sapore diverso, sbagliato, ma non riusciva a concentrarsi. “Mani sopra la testa, e identificati. È il tuo ultimo avvertimento.”
Lo sconosciuto sorrise, un sorriso scintillante, silenzioso e stranamente luminoso...e quasi esasperante, ormai. “Molto razionale detto da qualcuno che stava pensando di spaccarsi la testa con un bicchiere,” disse, troppo tranquillo. Nathan deglutì.
“Ho detto che ci stavo solo pensando,” non riuscì a trattenersi dal protestare, e ci mise un secondo di troppo a rendersi conto di cosa stava dicendo... e la sua temperatura sanguigna parve crollare improvvisamente di diversi gradi. Puntò lo sguardo sullo sconosciuto sorridente, facendosi cauto. In qualche modo, la pistola non lo faceva più sentire tanto tranquillo. “E tu... tu non dovresti saperlo,” disse lentamente. Lo sconosciuto ricambiò lo sguardo e Dio, se solo avesse smesso di sorridere.
“Sì, beh. Non preoccuparti,” disse. “Non lo dirò a nessuno.” Scosse la testa, ridacchiando fra sé, mentre un ciuffo ribelle gli ricadeva sugli occhi. Lo ricacciò indietro e si sistemò più comodamente sul davanzale di legno. “Come ho detto, puoi abbassare quella pistola. Forse un sorso del tuo drink ti farebbe bene.”
Nathan si era trovato in ogni genere di situazioni pericolose, schifose, anche mortali, e aveva imparato a mantenere il sangue freddo e restare lucido. Aveva delle regole, forti e rigide come sbarre di ferro, e le seguiva senza concedersi la minima eccezione. Era più facile sopravvivere quando non aveva la mente paralizzata dal terrore, la logica soffocata da urlanti istinti animali. Si aggrappava al controllo del suo corpo e della sua mente quando non c'era nient'altro che potesse controllare; aveva imparato a trattenersi davanti a paura e pericolo e, a giudicare dal fatto che era sopravvissuto fin'ora, riteneva che funzionasse.
Ed era proprio per quello, rifletté Nathan, che non aveva la minima idea di come comportarsi ora. Cercò di visualizzare la situazione, di adattarla a schemi riconoscibili, di individuare il pericolo, l'equazione irrisolta, di azzardare una soluzione. Eccolo lì, seduto sulla poltrona nel suo maledetto soggiorno a un'ora indecente della notte, con la pistola puntata contro un allegro sconosciuto amante del blues che sedeva sulla sua finestra e che gli aveva, a quanto pareva, appena letto nel pensiero. Non c'era molta logica nella situazione..
Era afflosciato sulla sua poltrona preferita, vecchia e morbida e sistemata a distanza strategica dal suo stereo, dove Il Re dei Bluesman del Delta, Vol.II suonava a volume sommesso. Nathan stiracchiò le braccia, la pelle scura tesa sui muscoli dolenti, e si versò dell'altro bourbon.
Il bicchiere era fresco e pesante; il ghiaccio tintinnò quando se lo portò alla testa, appoggiandoselo a una tempia pulsante. Il freddo si spanse lentamente, un fresco velo che attenuava almeno un po' il dolore. Nathan chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi contro lo schienale. La pelle cigolò sotto il suo peso. Nathan avrebbe voluto poter spegnere il cervello; distrattamente, immaginò di sbattersi il pesante bicchiere sulla fronte più e più volte fino a spaccare l'osso, lasciando che il pulsare e gli insistenti ritornelli si rovesciassero fuori. Non c'era alcun silenzio, nella sua testa.
(Gli accordi del signor Johnson risuonavano nella stanza vuota, arricciandosi intorno a lui in onde sonnolente. Era piacevole: gli era quasi d'aiuto.)
“Non sembra una buona idea,” disse una voce, delicata e discreta, scivolando in una pausa della chitarra prima dell'assolo finale.
“Ci stavo solo pensando,” grugnì Nathan, senza disturbarsi ad aprire gli occhi. Una brezza leggera gli sfiorava il collo, il che era abbastanza gradevole. “Non sono così stupido.”
“Sì, beh. Buono a sapersi,” commentò la voce, con tono divertito. Nathan sentì un pizzico di irritazione verso lo sconosciuto, che credeva fosse appropriato...
...e in quel momento se ne accorse. Portò la mano alla cintura, sollevando la pistola a mezz'aria prima che il suo cervello finalmente, finalmente si mise al passo (valuta la situazione: analizza la minaccia. Sii rapido, efficiente). Aprì di scatto gli occhi, ispezionando la stanza e, maledizione, sembrava che fosse davvero uno stupido.
La finestra era stata socchiusa; le tende erano aperte e la strada scintillava nella fessura, intrufolandosi nella stanza. Eccolo lì. La pistola di Nathan era ferma nella sua mano quando abbaiò: “Fermo. Mani sopra la testa. Subito.” C'era qualcuno, un giovane uomo, appollaiato sul davanzale. E, nella penombra della stanza, nella debole luce azzurra dello stereo, sembrava sorridere.
Nathan sbatté le palpebre e si trattenne dallo scuotere la testa. C'era qualcosa che non andava. “Ehi. Ho detto, mani sopra la testa. Sbrigati.”
Il ragazzo si limitò a guardarlo, con le labbra incurvate nell'accenno di un sorrisetto malizioso. “Rilassati. Ti assicuro che non rappresento una minaccia,” disse, sporgendosi in avanti, con le mani intrecciate in grembo. I suoi occhi erano luminosi, benevoli, stranamente luccicanti. Nathan si domandò perché lo trovasse così irritante.
“Spero mi perdonerai se non ti credo sulla parola,” replicò Nathan, prendendo accuratamente la mira. “Ora, se non ti dispiace...”
“Mani sopra la testa. Ti ho sentito,” ribatté il ragazzo, con tono scherzoso. Ma non obbedì; inclinò la testa da un lato, fissando un punto alla sinistra di Nathan. Sembrava intento all'ascolto, mentre il brontolio dei motori filtrava dalla strada e l'aria della notte gli scompigliava i capelli, ondulati e scomposti, che gli arrivavano al mento. “'Me and the Devil Blues'. È un classico,” disse, con aria di approvazione. Si stava tamburellando sulla coscia con le dita. “Immagino che ci sia anche 'Crossroads Blues', vero?”
“Sì, fra un paio di canzoni,” replicò Nathan. Sbatté di nuovo le palpebre... non doveva distrarsi. Ma i rumori della strada si mischiavano in modo affascinante alla musica, accompagnandola nota dopo nota. Le dita dello sconosciuto picchiettavano sui suoi jeans, leggere e vagamente ipnotiche. Nathan dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo, riportando gli occhi sulla pistola. Probabilmente avrebbe dovuto chiudere il becco. “Conosci Robert Johnson?” Chiese invece, mentre la pistola iniziava a pesare in fondo al suo braccio stanco.
“In un certo senso,” replicò con gentilezza lo sconosciuto. “Fra l'altro, puoi abbassarla.” Indicò la pistola con un cenno del mento. Nathan gemette e mosse il bicchiere che ancora si premeva alla tempia.
“Non credo proprio,” disse. Per qualche motivo, non riusciva a districarsi dalla pesante, placida atmosfera che sembrava aver avvolto la stanza. Voleva essere lucido e concentrato, ma i suoi sensi reagivano troppo lentamente, come se fossero immersi in densa melassa calda. Nathan sentì un fremito di paura vicino alla nuca. Forse era stato drogato. Cercò di ricordare se il whisky avesse avuto un sapore diverso, sbagliato, ma non riusciva a concentrarsi. “Mani sopra la testa, e identificati. È il tuo ultimo avvertimento.”
Lo sconosciuto sorrise, un sorriso scintillante, silenzioso e stranamente luminoso...e quasi esasperante, ormai. “Molto razionale detto da qualcuno che stava pensando di spaccarsi la testa con un bicchiere,” disse, troppo tranquillo. Nathan deglutì.
“Ho detto che ci stavo solo pensando,” non riuscì a trattenersi dal protestare, e ci mise un secondo di troppo a rendersi conto di cosa stava dicendo... e la sua temperatura sanguigna parve crollare improvvisamente di diversi gradi. Puntò lo sguardo sullo sconosciuto sorridente, facendosi cauto. In qualche modo, la pistola non lo faceva più sentire tanto tranquillo. “E tu... tu non dovresti saperlo,” disse lentamente. Lo sconosciuto ricambiò lo sguardo e Dio, se solo avesse smesso di sorridere.
“Sì, beh. Non preoccuparti,” disse. “Non lo dirò a nessuno.” Scosse la testa, ridacchiando fra sé, mentre un ciuffo ribelle gli ricadeva sugli occhi. Lo ricacciò indietro e si sistemò più comodamente sul davanzale di legno. “Come ho detto, puoi abbassare quella pistola. Forse un sorso del tuo drink ti farebbe bene.”
Nathan si era trovato in ogni genere di situazioni pericolose, schifose, anche mortali, e aveva imparato a mantenere il sangue freddo e restare lucido. Aveva delle regole, forti e rigide come sbarre di ferro, e le seguiva senza concedersi la minima eccezione. Era più facile sopravvivere quando non aveva la mente paralizzata dal terrore, la logica soffocata da urlanti istinti animali. Si aggrappava al controllo del suo corpo e della sua mente quando non c'era nient'altro che potesse controllare; aveva imparato a trattenersi davanti a paura e pericolo e, a giudicare dal fatto che era sopravvissuto fin'ora, riteneva che funzionasse.
Ed era proprio per quello, rifletté Nathan, che non aveva la minima idea di come comportarsi ora. Cercò di visualizzare la situazione, di adattarla a schemi riconoscibili, di individuare il pericolo, l'equazione irrisolta, di azzardare una soluzione. Eccolo lì, seduto sulla poltrona nel suo maledetto soggiorno a un'ora indecente della notte, con la pistola puntata contro un allegro sconosciuto amante del blues che sedeva sulla sua finestra e che gli aveva, a quanto pareva, appena letto nel pensiero. Non c'era molta logica nella situazione..